domenica 14 ottobre 2012

CONSIGLI PER RENDERE EFFICACE LA COMUNICAZIONE COL MALATO DI ALZHEIMER

CONSIGLI PER RENDERE EFFICACE LA COMUNICAZIONE COL MALATO DI ALZHEIMER

Come anticipato nell’articolo precedente, oggi vorrei fornirvi alcune indicazioni utili per garantire l’instaurarsi di un contatto comunicativo ideale, funzionale ed efficace con la persona affetta da malattia di Alzheimer.
Perciò, di seguito elencherò alcune semplici “regole” generali da tenere in considerazione.

1)      Solitamente, il malato ha un campo visivo (attentivo) molto ristretto con difficoltà a guidare gli
occhi sulla mira e a mantenervela. Quindi é necessario:
-scegliere sempre come luogo di comunicazione un ambiente ben illuminato (mai penombra);
-segnalare il vostro arrivo attraverso un altro canale sensoriale ( dicendo il vostro nome, parlando, facendo rumore, toccando le mani ecc.);
-muoversi adagio e al tempo stesso non troppo;
-mettersi di fronte al malato, preferibilmente all’altezza dei suoi occhi (per favorire il più possibile il contatto visivo) e a una distanza che favorisca anche la lettura delle labbra e l’identificazione della mimica facciale.
Tutto ciò contribuirà a creare un senso di intimità tra il malato e l’interlocutore.

2)      Comunemente, l’ammalato presenta un’ipersensibilità acustica associata ad una difettosa capacità
di identificare la sorgente dei suoni e di riconoscerli in seguito alla quale sopporta difficilmente rumori di sottofondo, sia quelli continui (radio, T.V., conversazioni di altre persone, ecc.) che improvvisi (specie elettronici quali il campanello, il telefono).
E’ necessario quindi scegliere un ambiente tranquillo, privo di rumori concomitanti allo scopo di evitare confusione, ansia o irritazione da parte del malato facilitando così la sua concentrazione.

3)      Di regola, il malato ha, fin dall’inizio, grosse difficoltà nello svolgere due attività in contemporanea,
anche quelle più semplici e automatizzate, per problemi di distribuzione di risorse attentive.
Quindi é molto importante che il malato possa dedicarsi esclusivamente all’atto di comunicare senza avere da svolgere altri compiti, compresi quelli di routine (quali mangiare, lavarsi o vestirsi) sufficienti ad inficiare il regolare svolgimento di una conversazione. Ciò vale anche per l’interlocutore, se svolge altre attività mentre parla con il malato o l’ascolta finirà sicuramente per distrarlo e togliergli la concentrazione.

4)     Di frequente, il malato sente il forte bisogno di stare in silenzio rifiutando di entrare in contatto con
chiunque. Bisogna rispettare quei momenti per non rischiare che egli viva il contatto in modo stressante e spiacevole, il che allungherà i tempi per riuscire a riallacciare un buon contatto.
Anche l’inverso é vero: un interlocutore che é arrabbiato o impaziente non dovrebbe iniziare alcuna forma di interazione con il malato, quindi é preferibile allontanarsi e ritornare vicino a lui quando sono ritornati il buon umore e la pazienza.

5)  E’ assolutamente sconsigliato parlare del malato con altre persone in sua presenza convinti che  questo non capisca. Difatti, esiste sempre la probabilità che egli possa cogliere dal tono della voce o dalla mimica l’idea principale o qualche determinata parola del discorso di altri, che potrebbe ferirlo e ne sentirebbe sicuramente l’umiliazione.

6)   Infine, si raccomanda di "comunicare con il cuore". Questa espressione ha in realtà più significati.
Il primo riguarda l’EMPATIA,  cioé l’interlocutore dovrebbe sempre cercare di immedesimarsi nel vissuto del malato al fine di creare contatti emotivi significativi e capire meglio comportamenti, sentimenti ed emozioni del malato.
Un secondo significato si riferisce al RUOLO DELLA COMUNICAZIONE NON VERBALE. L’espressione del viso (anche se il malato non riconosce il volto, ne coglie sempre il sorriso), lo sguardo, l’intonazione della voce (mai troppo alta), il linguaggio corporeo (il modo di muoversi e di comportarsi), il contatto fisico (prendergli la mano, appoggiare mano o braccia sulle sue spalle o stringerlo tra le braccia, se ovviamente é consenziente) contribuiscono a trasmettere all’ammalato lo stato d’animo e i sentimenti dell’interlocutore più che le parole stesse poiché il malato, man mano che perde la capacità di decodificare le parole, si aggrappa sempre di più al linguaggio gestuale. Per questo motivo, l’interlocutore deve essere consapevole del proprio linguaggio corporeo e apparire sempre coerente,  ossia le sue parole non devono mai essere in contrasto con il suo atteggiamento.
Il terzo significato sta a indicare l’assoluto bisogno di ELIMINARE IL PARAGONE tra la persona affetta da ALZHEMEIR e un BAMBINO. Il malato rimane sempre una persona adulta con un proprio passato. Pertanto indirizzarsi a lui come fosse un bambino lo può solo umiliare e scatenare reazioni aggressive o altri comportamenti disfunzionali.


Dott.ssa Elena Salvetti
Psicologa Clinica - formata in Neuropsicologia
334.1604200
salvettielena@libero.it
salvettielena84@gmail.com



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