CONSIGLI PER RENDERE EFFICACE LA COMUNICAZIONE COL MALATO DI ALZHEIMER
Come anticipato nell’articolo precedente, oggi vorrei
fornirvi alcune indicazioni utili per garantire l’instaurarsi di un contatto
comunicativo ideale, funzionale ed efficace con la persona affetta da malattia
di Alzheimer.
Perciò, di seguito elencherò alcune semplici “regole” generali da tenere in
considerazione.
1) Solitamente,
il malato ha un campo visivo (attentivo) molto ristretto con difficoltà a
guidare gli
occhi sulla mira e a mantenervela. Quindi é necessario:
-scegliere sempre come luogo di comunicazione un ambiente
ben illuminato (mai penombra);
-segnalare il vostro arrivo attraverso un altro canale
sensoriale ( dicendo il vostro nome, parlando, facendo rumore, toccando le mani
ecc.);
-muoversi adagio e al tempo stesso non troppo;
-mettersi di fronte al malato, preferibilmente all’altezza
dei suoi occhi (per favorire il più possibile il contatto visivo) e a una
distanza che favorisca anche la lettura delle labbra e l’identificazione della
mimica facciale.
Tutto ciò contribuirà a creare un senso di intimità tra il
malato e l’interlocutore.
2) Comunemente,
l’ammalato presenta un’ipersensibilità acustica associata ad una difettosa
capacità
di identificare la sorgente dei suoni e di riconoscerli in
seguito alla quale sopporta difficilmente rumori di sottofondo, sia quelli
continui (radio, T.V., conversazioni di altre persone, ecc.) che improvvisi
(specie elettronici quali il campanello, il telefono).
E’ necessario quindi scegliere un ambiente tranquillo, privo
di rumori concomitanti allo scopo di evitare confusione, ansia o irritazione da
parte del malato facilitando così la sua concentrazione.
3) Di
regola, il malato ha, fin dall’inizio, grosse difficoltà nello svolgere due
attività in contemporanea,
anche quelle più semplici e automatizzate, per problemi di
distribuzione di risorse attentive.
Quindi é molto importante che il malato possa dedicarsi
esclusivamente all’atto di comunicare senza avere da svolgere altri compiti,
compresi quelli di routine (quali mangiare, lavarsi o vestirsi) sufficienti ad
inficiare il regolare svolgimento di una conversazione. Ciò vale anche per
l’interlocutore, se svolge altre attività mentre parla con il malato o
l’ascolta finirà sicuramente per distrarlo e togliergli la concentrazione.
4) Di
frequente, il malato sente il forte bisogno di stare in silenzio rifiutando di
entrare in contatto con
chiunque. Bisogna rispettare quei momenti per non rischiare
che egli viva il contatto in modo stressante e spiacevole, il che allungherà i
tempi per riuscire a riallacciare un buon contatto.
Anche l’inverso é vero: un interlocutore che é arrabbiato o
impaziente non dovrebbe iniziare alcuna forma di interazione con il malato,
quindi é preferibile allontanarsi e ritornare vicino a lui quando sono
ritornati il buon umore e la pazienza.
5) E’
assolutamente sconsigliato parlare del malato con altre persone in sua presenza
convinti che questo non capisca. Difatti, esiste sempre la probabilità che egli possa
cogliere dal tono della voce o dalla mimica l’idea principale o qualche
determinata parola del discorso di altri, che potrebbe ferirlo e ne sentirebbe
sicuramente l’umiliazione.
6) Infine,
si raccomanda di "comunicare con il cuore". Questa espressione ha in
realtà più significati.
Il primo riguarda l’EMPATIA,
cioé l’interlocutore dovrebbe sempre cercare di immedesimarsi nel
vissuto del malato al fine di creare contatti emotivi significativi e capire
meglio comportamenti, sentimenti ed emozioni del malato.
Un secondo significato si riferisce al RUOLO DELLA
COMUNICAZIONE NON VERBALE. L’espressione del viso (anche se il malato non
riconosce il volto, ne coglie sempre il sorriso), lo sguardo, l’intonazione
della voce (mai troppo alta), il linguaggio corporeo (il modo di muoversi e di
comportarsi), il contatto fisico (prendergli la mano, appoggiare mano o braccia
sulle sue spalle o stringerlo tra le braccia, se ovviamente é consenziente) contribuiscono
a trasmettere all’ammalato lo stato d’animo e i sentimenti dell’interlocutore
più che le parole stesse poiché il malato, man mano che perde la capacità di
decodificare le parole, si aggrappa sempre di più al linguaggio gestuale. Per
questo motivo, l’interlocutore deve essere consapevole del proprio linguaggio
corporeo e apparire sempre coerente,
ossia le sue parole non devono mai essere in contrasto con il suo
atteggiamento.
Il terzo significato sta a indicare l’assoluto bisogno di
ELIMINARE IL PARAGONE tra la persona affetta da ALZHEMEIR e un BAMBINO. Il
malato rimane sempre una persona adulta con un proprio passato. Pertanto
indirizzarsi a lui come fosse un bambino lo può solo umiliare e scatenare
reazioni aggressive o altri comportamenti disfunzionali.
Dott.ssa Elena Salvetti
Psicologa Clinica - formata in Neuropsicologia
334.1604200
salvettielena@libero.it
salvettielena84@gmail.com
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